E chi la dimentica quella voce: i primi 100 anni di Karol Wojtyla – Giovanni Paolo II

Scritto da on 18 Maggio 2020

E chi la dimentica quella voce: i primi 100 anni di Karol Wojtyla – Giovanni Paolo II

Oggi, lunedì 18 maggio Giovanni Paolo II compirebbe 100 anni. Un pontificato indelebile nella memoria non solo dei cristiani

 

Non abbiate paura!

E chi la dimentica quella voce…

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Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!

Era la Messa per l’inizio del pontificato, 22 ottobre 1978. Oggi Giovanni Paolo II compirebbe 100 anni. Attraversò il secolo breve perseguitato dalle due peggiori dittature, segnato da gravi dolori familiari, dalle difficoltà della guerra, condividendo il lavoro duro degli operai, studiando da seminarista clandestino, seguendo i giovani universitari tra mille problemi, vedendo perseguitati vescovi e sacerdoti del suo  paese, ma sempre  affidandosi a una stessa persona…

Voglio ringraziare te, Madre di Cristo, (…) Ci fidiamo di questo tuo cuore immacolato, cuore materno, perché in questo tuo cuore hai portato lui come madre. Ci fidiamo di questo tuo cuore materno, perché con questo cuore tu abbracci tutti i suoi discepoli, anzi tutti gli uomini.

Ecco, oggi si sono volute affidare le sorti del mondo, degli uomini, dei popoli al tuo cuore immacolato per arrivare al centro stesso del mistero che è più forte di tutti i peccati dell’uomo e del mondo, del mistero in cui si può vincere il peccato nelle sue diverse forme, in cui si può incominciare, inaugurare un mondo nuovo. E noi abbiamo tanto bisogno di questo mondo nuovo perché sperimentiamo sempre più che il mondo vecchio, il mondo del peccato, ci opprime, ci fa paura, ci porta varie forme di ingiustizia: molte volte sotto il nome della giustizia, ci porta ingiustizie.

25 marzo 1984. Nella basilica vaticana Giovanni Paolo II sta congedandosi dalla statua della Madonna di Fatima, trasferita in Vaticano in occasione dell’Anno santo della Redenzione. Gigante della fede, aveva anche lo sguardo del profeta, insieme a un lungimirante realismo politico, la disposizione a guardare avanti. Da Papa, proseguì il nuovo umanesimo del predecessore Paolo VI: niente di più importante della dignità dell’uomo, a cominciare da quando lavora.

I problemi relativi alla crisi quantitativa del lavoro sono sotto gli occhi di tutti: il dramma della disoccupazione, la difficile situazione dei “cassintegrati”, i giovani che non riescono ad ottenere un loro “banco di lavoro”; e poi gli emigranti e gli stranieri, gli handicappati e gli anziani; senza inoltre dimenticare i problemi riguardanti il doppio lavoro, la mobilità professionale, la casa, i trasporti, l’uso stesso della cassa integrazione e l’abuso che a volte si fa del diritto di sciopero.(…) C’è bisogno di una rinnovata e puntuale attenzione e di una chiara testimonianza nel mondo del lavoro, “perché in esso sorgono sempre nuovi

interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce (…)Il primo fondamento del lavoro è infatti l’uomo stesso, e benché l’uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Affermare la preminenza del valore soggettivo del lavoro su quello oggettivo, significa che la misura del valore del lavoro è la dignità del soggetto umano che compie il lavoro.

Sembrano parole destinate al presente. Era invece il 1983 e così si rivolgeva ai partecipanti a un convegno della Cei sul tema del lavoro, 18 novembre. Da tre anni era attivo in Polonia il sindacato Solidarnosc…

Testimone potentissimo della dignità dell’uomo e della libertà della sua coscienza, Karol Wojtyla non aveva potuto non turbare fragili equilibri di menti instabili manovrate da forze oscure…

La veste bianca si era macchiata di sangue. 13 maggio 1981.

Solo pochi giorni dopo, il 17 maggio, dal policlinico Gemelli in Roma, il Papa recitava il Regina Coeli e pronunciava queste parole:

Sia lodato Gesù Cristo!
Carissimi fratelli e sorelle, So che in questi giorni e specialmente in quest’ora del Regina Coeli siete uniti con me. Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico.  Sono particolarmente vicino alle due persone ferite insieme con me. Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato.  Unito a Cristo, Sacerdote e Vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo.  A Te Maria ripeto: “Totus tuus ego sum”.

Il perdono, sempre. E chiese perdono infatti lui stesso per i tanti crimi compiuti dalla chiesa nel corso dei secoli . Da ragazzo aveva avuto tanti amici ebrei e non li dimenticherà mai, neppure da papa. Il suo ingresso nella sinagoga di Roma fu il primo, da parte di un pontefice. Era il 13 aprile del 1986…

L’eredità che vorrei adesso raccogliere è appunto quella di Papa Giovanni, il quale una volta, passando di qui – come or ora ha ricordato il Rabbino capo – fece fermare la macchina per benedire la folla di ebrei che uscivano da questo stesso Tempio. E vorrei raccoglierne l’eredità in questo momento, trovandomi non più all’esterno bensì, grazie alla vostra generosa ospitalità, all’interno della Sinagoga di Roma. (…) L’odierna visita vuole recare un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre due comunità, sulla scia degli esempi offerti da tanti uomini e donne, che si sono impegnati e si impegnano tuttora, dall’una e dall’altra parte, perché siano superati i vecchi pregiudizi e si faccia spazio al riconoscimento sempre più pieno di quel “vincolo” e di quel “comune patrimonio spirituale” che esistono tra ebrei e cristiani.

Cento anni fa nasceva dunque a Wadowice Karol Wojtyla. Dalla sua città vedeva i monti Baskidy, ai piedi dei Carpazi. In ogni montagna, vedeva le altezze di Dio… Valle d’Aosta. Eccolo ai piedi della statua della Madonna Regina Pacis, 7 settembre 1986:

Attratto dal fascino della montagna, l’uomo ha cercato nel corso dei secoli di scalare le cime anche più impervie, senza mai rassegnarsi di fronte ad asperità e insuccessi. Anche di questo massiccio del Monte Bianco, la vetta più alta dell’Europa, l’uomo ha continuato a vagheggiare la conquista. La difficoltà dell’impresa ha tuttavia ritardato per lunghissimi anni l’attuazione del progetto. Solo due secoli or sono, nel pomeriggio dell’8 agosto 1786, fu dato a due scalatori coraggiosi di porre per la prima volta il loro piede sulla sommità del colosso ammantato di neve e di ghiaccio.  Noi siamo qui per celebrare quello storico evento, nel quale ammiriamo la conferma del fondamentale compito di dominio sulla terra, che Dio ha affidato all’uomo fin dall’alba dei tempi, e che la Bibbia ha fedelmente registrato già nelle sue prime pagine.

Spesso sulle Alpi, da Papa, e poi sul Monte Nebo sulle orme di Mosè, in quell’Anno Santo nel quale ci traghettò verso il terzo Millennio…

In questa Notte Santa, l’Angelo lo ripete a noi, uomini e donne di fine millennio: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia… Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore” (Lc 2, 10-11). Ci siamo preparati ad accogliere queste parole consolanti durante il tempo d’Avvento: in esse si attualizza l'”oggi” della nostra redenzione. In quest’ora, l'”oggi” risuona con un timbro singolare: non è solo il ricordo della nascita del Redentore, è l’inizio solenne del Grande Giubileo. (…)Ai piedi del Verbo incarnato deponiamo gioie e apprensioni, lacrime e speranze. Solo in Cristo, uomo nuovo, il mistero dell’essere umano trova vera luce.

E chi la dimentica, quella voce…

 

Fonte: Laura De Luca – Città del Vaticano –  VaticanoNews

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