Al Chelsea Hotel riaprono stanze di Leonard Cohen e Bob Dylan
Scritto da Alberto Barcellona on 23 Maggio 2022
Col bagno rifatto di marmo e rubinetteria in ottone, la stanza 424 e’ ancora un work in progress: leggendaria nella storia della musica per la torrida e fugace ‘one night stand’ del 1968 con Janis Joplin che Leonard Cohen immortalo’ in una delle sue più famose canzoni, Chelsea Hotel #2. Dodici piani dietro la facciata neo-gotica sulla 23esima Strada, una delle icone di New York riaprira’ i battenti in autunno come hotel di lusso dopo una lunga ristrutturazione che il nuovo proprietario Sean McPherson ha definito “uno scavo archeologico” in un passato di creatività al cubo. Ci sono ancora una cinquantina di inquilini dentro le favolose mura. Un documentario su di loro, “Walls: Inside The Chelsea Hotel”, sara’ presentato il 17 giugno al Tribeca Film Festival. Col presente in via di estinzione, torna alla ribalta il passato che ha visto entrare e uscire nel corso degli anni dal portone al 222 della 23esima Sarah Bernhardt e Mark Twain, Arthur Miller e Bob Dylan, Jack Kerouac mentre lavorava a “On the Road” (ed ebbe una storia con Gore Vidal), Arthur C. Clarke al tempo di 2001 Odissea nello Spazio quando defini’ il Chelsea Hotel “la mia casa spirituale”. C’è un lato dark: Dylan Thomas a 39 anni si ubriacò nella stanza 205 fino a morirne avvelenato, mentre nella 100 Sid Vicious uccise a coltellate la girlfriend Nancy Spungen nel 1978. Per alcuni inquilini, fu una sorta di “hotel dei cuori spezzati”: Miller abitò per sei anni la 614 dopo la rottura con Marilyn Monroe, Ethan Hawke fece lo stesso quando si separò da Uma Thurman. Il Chelsea Hotel apri’ nel 1884 come cooperativa di inquilini e fu poi trasformato in albergo, ma solo negli anni Sessanta divenne l’epicentro della controcultura in cui vennero creati capolavori come “Sara” di Dylan, “Chelsea Morning” di Joni Mitchell, “Chelsea Girls” di Andy Warhol o, piu’ di recente, il bestseller “Netherland” di Joseph O’Neill. Negli anni Sessanta l’albergo fu “la Ellis Island dell’avanguardia”, come lo descrisse Sherill Tippins nel libro “Inside the Dream Palace”: nel 1961 Yves Klein ci scrisse il “Chelsea Hotel Manifesto” in risposta a chi lo criticava, Niki de Saint Falle creo’ in una stanza al decimo piano le prime “Nanas” e Christo rubo’ la maniglia della porta del bagno per una installazione da Gagosian: ora è’ nelle collezioni permanenti della Hirshhorn di Washington. Intanto, anche se i lavori sono ancora in corso, l’hotel ha aperto al pubblico alcune camere già finite a prezzo di sconto: ci si può dormire con prezzi da circa 300 dollari a notte. “Non era mai stato restaurato fino ad ora. Pochi interventi e sempre all’insegna del risparmio”, ha detto al “Wall Street Journal” McPherson che nel 2016 ha rilevato l’albergo da altri imprenditori. Sono state, tra l’altro, installate nuove porte per adeguarsi alle norme antincendio. Le vecchie sono state vendute all’asta quattro anni fa: quella di Dylan per 100 mila dollari, 15 mila dollari di piu’ di quella di Leonard Cohen.