Michele Bruccheri intervista la scrittrice Giusy Panassidi

Scritto da on 1 Marzo 2024

Vive e lavora in Piemonte da parecchi anni. Siciliana d’origine, di Enna, ci presenta i suoi libri. Si parte dall’ultima fatica letteraria: “Malaterra – Veleni e Silenzi”. Ci racconta suo nonno. E non solo

Ama scrivere. Ed ha già pubblicato diversi libri. Interessanti e importanti. Per le tematiche di notevole spessore. Giusy Panassidi, siciliana d’origine ma piemontese d’adozione, in questa lunga conversazione racconta e si racconta per La Voce del Nisseno e Radio Rcs Sicilia. È una scrittrice intensa e profonda, una “contastorie”, come ama definirsi.

In questa intervista ci presenta le sue “creature”. Iniziamo dal suo ultimo libro, pubblicato nelle scorse settimane. Dopo “Malaterra – Veleni e Silenzi”, ci presenta gli altri volumi. Libri che narrano la sicilianità, le donne, le miniere e i carusi

“Ad aprile ci sarà la prima presentazione nella città dove vivo da oltre quarant’anni e subito dopo lo presenterò, nel mese di giugno, in Sicilia in diverse città”, dichiara al nostro microfono. Giusy Panassidi vive a Grugliasco, ma le sue origini sono di Enna. Lavora come assistente amministrativo nella Pubblica Amministrazione, nel settore della Sanità.

Lavoratrice, dunque, ma anche sindacalista, consigliera comunale, scrittrice. Sollecitata dal giornalista, ci parla doviziosamente del suo adorato nonno. Colui che le ha trasmesso la passione per i racconti. “Mi ha contagiata irrimediabilmente alla scrittura – sottolinea – e lo faccio attraverso i racconti, semplici, ma che racchiudono talvolta delle storie che di semplicità ne hanno poca. I miei racconti devono poter essere letti da tutti: bambino e adulti”.

Giusy Panassidi

Partiamo dal tuo ultimo libro pubblicato: “Malaterra – Veleni e Silenzi”. Qual è il “succo”?

Malaterra – Veleni e Silenzi è il mio ultimo libro pubblicato a febbraio di quest’anno. È un libro che ho scritto “per amore”, solo per amore. Quell’amore che nutro per la terra dove sono nata e cresciuta per diciotto anni e che non mi lascia indifferente di fronte alle ingiustizie, al malgoverno, alla rassegnazione.

Qual è il messaggio che intendi trasmettere?

Che la speranza non deve morire, che bisogna sempre guardare al futuro con ottimismo, cogliendo anche i piccoli segnali, che tutto può cambiare, rinascere e ricominciare.

Hai avuto modo di presentarlo? Qual è stata la reazione dei tuoi lettori?

Il libro, come dicevo, è appena stato pubblicato, ma già ad aprile ci sarà la prima presentazione nella città dove vivo da oltre quarant’anni e subito dopo lo presenterò, nel mese di giugno, in Sicilia in diverse città.

Riavvolgiamo il nastro. Il tuo primo libro è stato “La Culofia: Paure e Pregiudizi”. Sono tredici racconti. Ci presenti la tua opera d’esordio?

La Culofia Paure e Pregiudizi è stato il mio primo libro, scritto quasi per una sfida con me stessa. Il libro contiene, appunto, tredici mini racconti che parlano di paure e pregiudizi, come per esempio sull’omosessualità, o delle credenze popolari. Parlo anche della morte, vissuta con naturalezza, vista con gli occhi di una bambina poi adolescente: gli anziani ci educavano sin da piccoli a non averne paura, poiché anch’essa fa parte della vita. Parlo delle violenze sessuali subite dalle donne che, per paura di essere giudicate o additate, erano costrette a non parlarne mai con qualcuno e delle grosse rinunce che si fanno per affrontare il giudizio dei paesani, pagandone caramente il prezzo.

Questo debutto letterario ha registrato un grande successo: è così?

Il successo è stato sorprendente anche per me. Sin da piccola ho avuto la passione per la scrittura e soprattutto per i racconti. È stato mio nonno che, narrandomi alcuni racconti (alcuni vissuti, altri inventati) con la sua fervida fantasia e la sua dialettica pirandelliana, nelle serate trascorse con lui, mi ha contagiata irrimediabilmente “alla scrittura”. Dopo il primo libro, e l’incoraggiamento ricevuto da chi lo aveva letto, a continuare nella scrittura è stato quasi fisiologico scrivere il secondo libro, poi il terzo e così via…

Giusy Panassidi

Nel volume, infine, vi sono due racconti che rappresentano la sicilianità. Me ne parli?

Sono due racconti divertenti e teatrali, palesando come due fatti drammatici si possono trasformare in tragicomica. Credo che sia nel nostro Dna, forse perché come popolo riusciamo sempre a trarre anche dagli eventi più brutti e difficili il meglio e farne degli insegnamenti. “La trasformazione” racconta di come uno scambio involontario di due salme in una camera mortuaria di un ospedale creerà una situazione di forte imbarazzo sino al punto di pensare che è la morte a rendere non riconoscibile il proprio caro, così come “L’equivoco” ci farà sorridere pur immaginando il dolore che può aver provato il protagonista durante quella che doveva essere una bella giornata al mare da trascorrere con la famiglia in un vero incubo…

Tu sei d’origine siciliana e torinese d’adozione. Cosa ti manca della nostra terra?

Amo profondamente la mia terra d’origine, la Sicilia, ed Enna in particolare, la città dove sono nata e dove ho avuto la fortuna di vivere per diciotto anni e dove appena posso torno a rifugiarmi tutte le volte che gli impegni lavorativi mi permettono di farlo. Amo questa terra con tutto il mio cuore, la gente che vi abita, ne amo il mare, i vulcani, amo il suo cibo… insomma amo tutto quello che è la Sicilia.

Prosegui…

Allo stesso tempo, però, ho la fortuna di amare in egual modo la terra dove vivo da oltre quarant’anni, il Piemonte, che sento appartenermi. Qui ho la mia casa, il mio lavoro, i miei affetti e dove cerco di adoperarmi per non dimenticare la terra d’origine, portando la cultura del nostro popolo, le nostre tradizioni nell’associazione culturale di cui sono vicepresidente “Il Centro Studi La Casa Sicilia” di Grugliasco, una cittadina della prima cintura torinese, dove da qualche anno ricopro anche la carica di consigliera comunale, così come mi occupo dei diritti dei lavoratori e la difesa delle donne vittime di violenza nei luoghi di lavoro come dirigente sindacale. Insomma come dico sempre: ho avuto la fortuna di avere due terre e di amarle allo stesso modo.

Poi, tornando alle tue opere, hai pubblicato “I Carusi della Solfara: Vergogna e Schiavitù”. So che hai visitato i luoghi… Come ricordi quella esperienza, impegnativa, anche suo piano umano ed emotivo?

“I carusi della Solfara Vergogna e Schiavitù” è stato il secondo libro che ho scritto e che mi ha dato la possibilità di conoscere e far conoscere la storia dei piccoli schiavi siciliani di cui poco si parla (per vergogna) ai ragazzi delle scuole.

Copertina di un suo libro

Cosa hai fatto?

Ho raccolto le testimonianze dei figli di alcuni carusi che avevano vissuto questa triste pagina di storia italiana. Non nascondo che, tante volte, ho pianto ascoltando le loro storie e la bruttura con cui molti bambini furono strappati alle famiglie in cambio di una promessa di benessere economico che invece si trasformò nella loro condanna, spesso a morte. Chi sopravvisse fu condannato e segnato nel corpo e nell’anima per sempre al ricordo di quello che subì negli anni in cui fu uno schiavo indifeso.

Chi è il protagonista del libro?

Filippo, il protagonista di questo libro, è un personaggio inventato nel nome, ma non nelle vicende, realmente accadute. Ho voluto visitare personalmente i luoghi dove si sono svolti questi brutti fatti, ovvero le miniere e non nascondo che, quando ho visto per la prima volta quei luoghi di morte, sono stata molto male. Era come se, guardando quei luoghi dove ancora l’odore dello zolfo si sentiva molto forte, sentissi le urla strazianti di quei bambini che venivano calati nel ventre della terra, “l’inferno sulla terra” come l’ho definito nel libro, e vedessi i loro occhi impauriti pensando che forse non sarebbero più tornati in superfice: la loro vita valeva meno di niente.

Mi risulta che il libro vanta pure una versione scolastica. In cosa consiste?

Il libro, come accennavo prima, è una storia di cui poco si è parlato ed è risaputo che, se la storia non la si ricorda, purtroppo è destinata a ripetersi. In collaborazione con due insegnati di scuola media secondaria della Sicilia, e precisamente di Riesi, in provincia di Caltanissetta, dove le miniere sono state la fonte di sostentamento di molte famiglie, hanno elaborato un progetto. Il libro è stato pubblicato anche in edizione scolastica, munito dunque di apparato didattico da portare nelle scuole così da far conoscere ai ragazzi la storia degli schiavi italiani di cui non si parla, dal momento che, a scuola, ci insegnano la storia di schiavitù di altri popoli.

E poi?

Poi cerco di sensibilizzare i ragazzi a riflettere che quello che successe ai carusi delle solfare per un minerale chiamato zolfo, succede oggi nei paesi del terzo mondo per altri minerali chiamati litio, cobalto, oppure i diamanti… paesi che, anche se non sono così vicini a noi, non possiamo far finta che non esistano, come invece accadde in Italia.

Informare e formare le nuove generazioni, opera meritoria…

La soddisfazione, lo ammetto, è grande, quando visito alcune scuole che hanno adottato il libro come testo di narrativa e ascolto i ragazzi e vedo la loro rabbia nell’apprendere che in Italia dei bambini meno fortunati di loro furono privati della famiglia, della libertà, dell’istruzione nonché di tutti i diritti e nessuno mosse un dito in loro difesa. Ogni anno dedico il 20 novembre, data in cui si celebra in tutto il mondo “la giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” ad incontrare i ragazzi delle scuole e ricordo loro il sacrificio di questi bambini sfruttati e maltrattati di cui la storia ha dimenticato l’esistenza.

C’è inoltre un libro che parla delle donne. È vero?

Sì, è vero. Il libro che ho scritto e che parla delle donne è “Femmina di Necessità Virtù”. Parlo delle donne, anzi delle “femmine”, come ho voluto chiamarle, dei sacrifici che hanno dovuto affrontare per farci diventare le donne che ben rappresentiamo. Sono stati il loro sacrificio, la loro determinazione, il loro coraggio che, silenziosamente, hanno contribuito al cambiamento, talvolta anticipandolo, cavalcandolo e molto spesso subendolo, pur rimanendo sempre un passo indietro all’uomo, mai avanti e mai al fianco.

Un altro suo libro

Anche in questo caso c’è un apparato didattico, vero?

Anche questo libro è stato pubblicato nella versione scolastica, munita di apparato didattico, sempre redatto da due insegnati di scuola media secondaria, ed è stato adottato in alcune scuole torinesi come testo di lettura nell’ambito di un progetto per “la parità di genere”.

Hai anche pubblicato un libro a quattro mani, assieme al tuo amico Gioachino Marsala. Racconta l’emigrazione, il sogno di ritornare al Sud… Ce lo presenti, brevemente?

“Il Treno del Sole – Storie di Terroni” l’ho scritto con l’amico Gioachino Marsala, grazie al suo ricordo personale e alle testimonianze di tanti meridionali che si sradicarono dalla propria terra, abbandonando i paesi di origine, ma sognando di ritornare “a casa” sin dal primo giorno del loro arrivo nelle grandi città del Nord Italia. Cosa che, tuttavia, difficilmente avveniva perché, nel frattempo, erano spuntate nuove radici e l’integrazione con gli anni era diventata inevitabile. “Il treno del Sole” rappresentò, per molti emigranti, il sogno del miglioramento economico, ma fu davvero così?

Tu ti definisci “contastorie”. Perché?

Io mi definisco “contastorie” perché amo “il cuntu” ovvero “cuntare” (raccontare) le storie, poiché, come ho detto prima, è con le storie e i racconti raccontatemi da mio nonno, reduce di ben due guerre, ma a cui non è mancato mai il sorriso… Mi ha contagiata irrimediabilmente alla scrittura e lo faccio attraverso i racconti, semplici, ma che racchiudono talvolta delle storie che di semplicità ne hanno poca. I miei racconti devono poter essere letti da tutti: bambino e adulti. Trovo che con i racconti, sia da leggere o da ascoltare, difficilmente ci si annoia, anzi, la curiosità ci spinge sempre di più alla conoscenza. Questo, perlomeno, è quello che succede quando ascolto o leggo un racconto.

Tuo nonno, adorato, è un importante punto di riferimento. Nei hai fatto cenno prima. Ci tratteggi, rapidamente, questa figura così preziosa per te?

Mio nonno era un uomo molto semplice, un grande lavoratore che aveva combattuto ben due guerre e, come diceva lui, era “un sopravvissuto” alle brutture delle guerre. Avevo quindici anni quando mi lasciò per sempre. Per lui ero Gisella, non Giusy, e questo mi piaceva perché era come se con lui anche io diventavo un personaggio dei suoi racconti. Mi raccontava delle guerre che aveva combattuto da giovane, dei sacrifici che aveva affrontato per tornare vivo a casa, ma di lui ricordo soprattutto la positività e il fatto di non giudicare gli altri. Lui sapeva spendere una parola buona per tutti.

I suoi racconti t’incantavano, dunque…

Trascorrevo ore ed ore ad ascoltare le storie che mi raccontava e, molto spesso, il finale non era mai lo stesso o perché amava cambiarlo apposta oppure perché, con l’età, non ricordava più tante cose, ma a me quelle storie piacevano perché ogni volta era come se fosse la prima volta che le raccontava e quindi aspettavo sempre di scoprire come sarebbe andata a finire quella volta.

So che ami leggere. Quali sono gli autori da te prediletti?

Sì, è vero, amo molto leggere e prediligo i libri di avventura e i gialli. Il mio autore preferito di sempre è Andrea Camilleri: di lui amo i libri di racconti come “Il Casellante”, “Maruzza Musumeci”, “Il Re di Girgenti”… Li ho letti e riletti più volte e so che lo farò ancora tante volte. Un po’ come quando ascoltavo nonno… Spero sempre che il finale qualche volta possa essere diverso e lo leggo sempre con molta curiosità.

E il libro, di altri, che avresti voluto scrivere tu?

“Maruzza Musumeci”. Dentro trovo ci sia tutto quello che un libro debba contenere per appassionare un lettore. Ma per comprendere quello che voglio esprimere dovreste leggerlo…

Che genere di musica preferisci ascoltare?

Amo la musica leggera, soprattutto quella italiana. Il mio cantante preferito è Claudio Baglioni, ma ascolto molto i cantautori come Venditti, Dalla, Battisti, Giorgia, Pausini

Qual è la tua migliore virtù e, se c’è, qual è il tuo peggior difetto?

Credo di essere molto predisposta all’ascolto e al dialogo con tutti. Mi dicono di essere una persona solare e sincera. Il peggior difetto? Forse essere troppo schietta e diretta.

Quali sono i tuoi prossimi progetti editoriali e culturali?

Spero di continuare a scrivere ancora molti libri di racconti e continuare a portarli nelle scuole, perché amo molto stare a contatto con i ragazzi che riescono sempre a sorprendermi con le loro domande e curiosità. Come dicevo prima, a febbraio è uscito il mio nuovo libro “Malaterra – Veleni e Silenzi” e a breve comincerò ad organizzare le presentazioni in tutta Italia. Intanto la prima sarà a Grugliasco (Torino) e subito dopo, a giugno, in Sicilia e ho già qualche proposta da valutare in altri comuni.

MICHELE BRUCCHERI

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