Pensavo fossero copertine fake. Come quelle che faceva il giornale satirico “Il Male” negli anni 70-80. Invece no. Sono i titoli veri dei quotidiani della destra di stamattina. E sono mostruosi. #SilviaRomano
Il rientro di Silvia Romano ha scatenato tutto l’odio che sembrava assopito dalla pandemia
Scritto da Redazione RCS RADIO SICILIA on 13 Maggio 2020
Il rientro di Silvia Romano ha scatenato tutto l’odio che sembrava assopito dalla pandemia
Una manciata di ore. È il tempo che ha separato i commenti di gioia per l’annuncio della liberazione di Silvia Romano da quelli violenti e pieni d’odio. A scatenare le polemiche sui social sono state soprattutto le immagini del rientro in Italia della cooperante milanese di 24 anni, rapita 18 mesi fa in Kenya, nel villaggio di Chakama, 80 chilometri da Malindi, mentre seguiva un progetto della Onlus Africa Milele.
È stata tenuta in ostaggio in Somalia dagli jihadisti di Al Shabaab, uno dei gruppi terroristici più efferati prima fedele ad Al Qaeda, poi all’Isis. Atterrata all’aeroporto militare di Ciampino, Silvia è apparsa per la prima volta davanti alle telecamere e ai fotografi con indosso l’jilbab, l’abito tradizionale indossato dalle donne musulmane. Un primo elemento che è bastato a dare il via a dispute e commenti, poi rafforzati dalle prime dichiarazioni che la ragazza ha fatto agli inquirenti: “Mi sono convertita all’Islam, il mio nuovo nome è Aisha”. E ancora: “ Ho chiesto dei libri e mi hanno portato il Corano, ho cominciato a leggere per curiosità e poi è stato normale. La mia è stata una conversione spontanea”.
“Io mi sono commossa, ho completamente tralasciato quello che Silvia avesse indosso – spiega Giovanna Cosenza, docente di semiotica dei media digitali all’Università di Bologna – questo già ci dice quanto possa essere variabile l’elemento percettivo. In un primo momento ho interpretato quella veste come una protezione, la mia attenzione era su quell’abbraccio alla famiglia”.
Sui social le condivisioni dei flash mob organizzati a Milano, la città di Silvia, sono state rimpiazzate da una pioggia di hashtag: #Aisha, #sindromediStoccolma, #convertita, #Maometto #corano. Tutto quell’odio che sembrava in qualche modo assopito dallo scoppio dell’emergenza sanitaria del coronavirus è tornato in superficie in pochissimo tempo e a scatenarlo è stata (ancora una volta) una donna. “C’è sempre l’aggravante femminile – afferma Cosenza – siamo in una cultura sessista. Su una donna si va subito a sezionare il corpo: come appare, cosa indossa, quanto pesa”.
Avevamo assistito a un’ondata d’odio simile per Carola Rackete, la giovane comandante della Sea-Watch arrestata per aver forzato l’attracco della nave con a bordo decine di migranti al porto di Lampedusa, lo scorso giugno. Il concetto alla base è lo stesso: una donna è sempre meglio che resti a casa o che quantomeno non se ne vada in giro per il mondo in posti pericolosi a fare cose altrettanto rischiose, come salvare i migranti o assistere i bambini di un villaggio africano. E se fosse stato un prigioniero uomo ad essere liberato?
“Come segno della sua prigionia avremmo visto una barba e poco di più – prosegue la professoressa – Ci sarebbe stata una minore evidenza simbolica. Ma se avesse dichiarato una conversione, su un uomo c’è una maggior assunzione di responsabilità. Un uomo sa quel che fa, per definizione. Ricordiamo che l’Italia si distingue per sessismo, siamo al 76esimo posto su 153 nella classifica del World Economic Forum che ogni anno censisce la parità di genere. Cosa ci tiene in basso? La disparità di trattamento economico. Ma tutto nasce dalla cultura, dal dibattito politico. Pensiamo a tutto il discorso della mancanza di donne nella task force che gestiscono la pandemia”.
Ad alimentare la polemica anche il tono delle prime pagine di alcuni quotidiani, che hanno preso una posizione netta a riguardo. Il sito di Libero ha persino chiesto agli utenti di votare in un sondaggio che chiedeva loro se fossero stati sconvolti o meno dalla notizia della conversione di Silvia Romano.
Federica Seneghini
✔@fedesene
Abbiamo disattivato i commenti sotto tutte le foto di Silvia Romano sull’Instagram del @Corriere. Che peccato farlo, che occasione persa, almeno per una volta, di essere soltanto felici
Non va meglio neanche sul lato diametralmente opposto a quello dell’odio, ovvero tra coloro che cercano una giustificazione ad ogni costo. Molti parlano di ‘meccanismo di difesa’ in relazione alla conversione della cooperante, implicitamente affermando che in una situazione ‘normale’ nessuno sceglierebbe di aderire alla fede musulmana.
“Si è convertita all’Islam. Deve essere per forza stata costretta.”
Il paese è questo qua.#SilviaRomanoLibera #sindromedistoccolma
L’immagine di Silvia Romano sembra aver messo in crisi un universo di valori, in cui l’appartenenza al proprio Paese è stata confusa con quella religiosa, che niente ha a che vedere con la cittadinanza. Ci sono, come spesso accade, tanti, troppi punti interrogativi in questa storia che è ancora tutta da scrivere. Eppure, nonostante la mancanza di dati oggettivi sulla liberazione, quei pochi elementi immortalati dalle videocamere sono stati sufficienti per un processo social sommario, ora rivolto contro Silvia Romano, ora contro il Governo, colpevole di aver pagato per il rilascio.
Il tempo di attendere, di aspettare di capire, di sapere, non è di questo mondo. C’è stato un tempo invece, era solo pochi giorni fa, in cui siamo stati sospesi, in ascolto. Ma forse non era vero.
Dopo gli insulti e le minacce di morte legate in particolare alla conversione di Silvia Romano all’Islam il pm Alberto Nobili ha aperto un’inchiesta: l’ipotesi, contro ignoti, è di minacce aggravate. La Prefettura di Milano sta valutando misure di protezione e il palazzo del Casoretto in cui abita è già sorvegliato dalle forze dell’ordine.
Fonte: MashableItalia